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  • Immagine del redattoreFrancesco Bigotto

LA DISPARITÀ DI GENERE NELLO SPORT IN ITALIA (parte 1)

La disparità di genere è un problema diffuso in qualunque ambito nella società, lo sport, purtroppo, non fa eccezione.

In Italia, fino alla fine del 2020 non era possibile per le atlete diventare professioniste, in quanto la legge in materia (legge 23 Marzo 1981, n.91, <<Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti>>) non considerava tale possibilità, garantendola solo ai colleghi di genere maschile. Grazie a un emendamento contenuto nella “legge di bilancio” per il 2021, si è aperta tale possibilità. La decisione in merito ai singoli sport rimane poi a discrezione delle specifiche federazioni. L’unica federazione che si è mossa concretamente, fino a concludere l’iter di approvazione per il professionismo femminile dal 1 luglio 2022 è stata la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC). La serie A femminile di calcio, oggi, è l’unico settore professionistico femminile italiano insieme al golf.


In Italia, solo il 28% dei tesserati per una federazione sportiva nazionale o disciplina sportiva associata è di genere femminile.

Solo 5 federazioni (ginnastica, pallavolo, sport equestri, danza sportiva, sport rotellistici) hanno più tesserate che tesserati.

La copertura mediatica dei campionati e delle gare degli sport femminili in Italia è ridicola, con l’eccezione degli eventi internazionali di rilievo.

Il divario retributivo (difficile da stimare considerando le molteplici possibilità di guadagno da pubblicità, social network, premi, oltre allo stipendio) è ampio e supera il gender pay gap presente nel resto della società.

I dati relativi alla presenza femminile in ruoli dirigenziali e di staff tecnici sono peggiori rispetto a quelli della pratica sportiva.


È vero, non tutti gli sport maschili, allo stesso modo, vedono il riconoscimento dello status di professionismo; ma anche in questi casi le differenze socio-economiche tra uomini e donne sono notevoli: stipendi, riconoscimento socio-lavorativo, tutele, legittimazione, copertura mediatica, promozione e sponsorizzazioni.


Politiche, risoluzioni e istituzioni intergovernative e sovranazionali (ONU e UE) hanno già da alcuni anni sottolineato la necessità di attuare cambiamenti a livello politico, organizzativo e promozionale nei singoli Stati, tuttavia l’Italia è uno dei Paesi che ha recepito e applicato meno queste direttive.

Un problema che spesso viene evidenziato dalle atlete e dalle partecipanti ai movimenti sportivi femminili è la mancanza di appoggio, sostegno e promozione da parte delle federazioni stesse.


Queste dinamiche risentono di un retaggio culturale molto forte, particolarmente in Italia, che lega la forza fisica, la resistenza, il corpo come strumento di dimostrazione del proprio valore, lo sport al genere maschile. Questo stereotipo culturale porta con sé una serie di pregiudizi importanti e difficili da sradicare e modificare rispetto alla partecipazione femminile allo sport come impegno professionale o come attività ludica.

Un approccio attuale, interessante e condivisibile è quello che non nega le differenze tra femmine e maschi, sia in senso fisico-fisiologico, sia psico-sociale, sia storico-culturale, ma anzi le valorizza e lavora per renderle punti di forza e per far sì che vengano accettate da tutti.

Ogni sport, ogni ruolo, ogni partita, ogni momento richiedono caratteristiche fisiche, tattiche, tecniche o mentali differenti e ognuno è portatore di valori per e grazie a tali qualità diverse e specifiche.



Se vuoi approfondire il tema, se hai domande oppure se vuoi conoscere i miei servizi di psicologia, contattami o inviami la tua richiesta, sarò felice di risponderti al più presto.


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